Nella mia formazione riconosco la grande fortuna di avere avuto dei maestri eccezionali.
Mi iscrissi all’università di Bologna, venendo da quella che vivevo come la desolante provincia veneta. Mi accorsi ben presto però che a Filosofia a Bologna mi mancava quello che cercavo. Vidi una conferenza di Bodei all’Istituto Gramsci di San Vitale nel 1980, che discuteva della “Crisi della ragione” curato da Gargani; poi lessi “Sistema ed epoca”, e decisi di trasferirmi a Pisa. Fin dai primi corsi di Bodei che frequentai, su Spinoza, la filosofia della storia di Hegel, il seminario sul tempo in Benjamin, capii di aver fatto la scelta giusta. Andavo alle lezioni di Bodei come si va a una festa. L’approfondimento teorico era sempre accompagnato dalla contestualizzazione storica; si respirava cultura e io come i miei compagni ne avevamo un bisogno quasi fisico; i riferimenti erano ricchissimi e spaziavano dalle cose apparentemente più trascurabili, umili e quotidiane a quelle più elevate.
Ma l’erudizione impressionante non era mai sfoggiata per intimidirci, anzi, la sua inesauribile curiosità andava di pari passo con una apertura verso gli studenti che si percepiva nell’aria; c’erano una passione e una libertà che mettevano in questione sia lo stile accademico che altri prediligevano e a cui volevano ci adeguassimo, sia, e soprattutto, la divisione del sapere in comparti separati. E poi era la prima volta che vedevo che si poteva scegliere se portare all’esame Minima moralia o Montesquieu. La lettura della sua bellissima prosa filosofica, poi, era sempre un piacere grande.
Lavorai tantissimo, per l’esame e poi per la tesi, che scrissi con Bodei. Volevo profondere un impegno fuori del comune per emularne la capacità di lavoro e provare a ringraziarlo degli stimoli che mi aveva regalato.
Domani devo andare a Napoli a un convegno su Hegel e i greci a cui doveva partecipare anche Remo, all’Istituto italiano di studi filosofici. Un altro lato di Remo, segno della sua grande generosità, era l’aiuto con cui si prodigò sempre per promuovere le iniziative di Marotta, cui era molto legato: promuovere cultura, anche al di fuori dell’ambito accademico –– nei festival come a livello editoriale –– senza compromettere il rigore scientifico era uno dei suoi aspetti migliori per cui ho sempre avuto profonda ammirazione.
Era amico di Gargani Bodei, e per ricordare Gargani nel decennale della scomparsa lo invitai a parlare al nostro seminario. Fu allora che mi disse che, per quanto avrebbe desiderato esserci, era costretto a declinare l’invito, per quello che chiamò ‘uno di quegli scherzi che ci riserva la vita’, la malattia che poi lo ha portato via. Fui, oltre che molto colpito e addolorato, anche sorpreso. L’avevo appena visto, nel dicembre del 2018, a Torino. Gli amici torinesi Vercellone e Corriero avevano organizzato una bella festa per celebrare i suoi 80 anni. Il convegno fu molto riuscito soprattutto perché a concluderlo fu Remo, che parlò a braccio per quasi un’ora sul suo ultimo progetto, il libro sulle macchine che è nel frattempo da poco uscito. Aveva la consueta vivacità; nella sua cultura sconfinata riusciva a mettere in relazione significativa e imprevedibile le cose più diverse e lontane in un’argomentazione che si manteneva compatta dall’inizio alla fine; soprattutto, era instancabile, avrebbe potuto parlare ancora per ore, e se qualcuno avesse pensato che magari a 80 anni si potesse notare un inevitabile appannamento della lucidità sarebbe rimasto a bocca aperta.
Alla fine l’applauso fu interminabile. Laddove altri si sarebbero schermiti abbassando lo sguardo, oppure spavaldamente inorgogliti, Bodei alzò la mano per fermarlo e disse, in torinese, ‘esageruma nen’. In quei giorni Remo mi disse che stava lavorando a un’edizione commentata delle lettere a Lucilio, e ricordo che pensai che avevo sempre visto in lui un coté, se non stoico, certo neostoico e spinoziano.
Il libro che raccoglie quegli interventi è uscito da pochi giorni. Fu Remo a suggerirne il titolo, che a me pare stendhaliano nella sua eleganza, “Cristalli di storicità”. Il volume comprende, tra l’altro, un saggio di Bodei in inglese che vale come un’ultima, ahimé, autopresentazione, intitolato ‘Understanding myself’ –– come se il socratico conoscere se stessi fosse meno interessante che cercare di venire a capo del groviglio e del multiversum dell’io che voleva mettere a fuoco.
Volevo sentirlo per sapere se gli era piaciuto, ma nell’ultimo email che mi mandò si diceva affaticato, e per quel ritegno che paralizza in quanto rende impossibile decidere se un malato terminale potrebbe preferire essere lasciato in pace o scambiare un ultimo dialogo non lo feci, e mi dispiace.
Grazie, Remo, per tutto quello che ci hai dato. I tuoi libri e il tuo insegnamento hanno reso più interessante e più penetrabile questo nostro piccolo mondo, che sarà ora più povero senza di te. Ci mancherai.
Alfredo Ferrarin