A Pisa la XVIII edizione del Seminario, a cura del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Nei giorni 20-22 Dicembre 2021 si terrà a Pisa la XVIII edizione del Seminario Permanente Nietzscheano.
Il Seminario Permanente Nietzscheano (SPN) è un gruppo di ricerca che riunisce giovani ricercatori ed esperti di Friedrich Nietzsche. Costituitosi nel 2005 nell’ambito delle attività scientifiche del Centro «Colli-Montinari» di Studi su Friedrich Nietzsche dell’Università di Pisa, con il patrocinio di Giuliano Campioni, il Seminario si è consolidato come un organo itinerante, che ha la finalità e l’ambizione di rappresentare la rete di collegamento tra i giovani ricercatori italiani e stranieri che si occupano della filosofia di Nietzsche, delle sue interpretazioni e prospettive teoretiche.
Quest’anno il Seminario tornerà a Pisa, grazie all’ospitalità del Dipartimento e all’organizzazione di Giovanni Paoletti e Adriano Fabris. I lavori del Seminario si svolgeranno su 3 giorni, dal pomeriggio del 20 dicembre alla mattina del 22 Dicembre nella Sala A del Centro Congressi Le Benedettine (Piazza San Paolo a Ripa d’Arno 16, Pisa). Questa edizione 2021 sarà consacrata ad un tema centrale della filosofia, non solo nietzscheana: “Rifare la storia: epoche, crisi, accelerazioni”.
Il Seminario si struttura in 3 sessioni seminariali, aperte ai membri e a chiunque voglia partecipare come uditore, nelle quali verranno discussi e commentati dei testi scelti di opere nietzscheane (il programma dettagliato sarà inviato ai partecipanti prima degli incontri). Il 21 pomeriggio è prevista una sessione plenaria con ospiti esterni e una conferenza tenuta dal Prof. Giuliano Campioni.
A causa delle restrizioni sanitarie, il numero degli uditori è limitato a 20. Chi fosse interessato a partecipare alle 3 sessioni seminariali chiuse, può inviare una richiesta di partecipazione alla coordinatrice (carlottasantini@hotmail.it) corredata da un breve CV o presentazione dei propri interessi di ricerca.
Rifare la storia: epoche, crisi, accelerazioni
Pur non essendo propriamente uno storico o uno storiografo, l’interesse filosofico di Nietzsche rivela sempre, lungo tutto il suo itinerario intellettuale, una particolare attenzione verso l’analisi e la diagnosi storica, della propria epoca come di quelle passate.
Uno dei suoi scritti giovanili – Sull’utilità e il danno della storia sulla vita – è indirizzato programmaticamente a costruire un’azione critica rivolta al presente: già qui Nietzsche spiega come questa riflessione, e il lavoro “inattuale” verso il presente che lo muove, possieda il duplice fine di giocare contro il tempo e in favore di un tempo a venire.
In questo senso, la sua attenzione è sempre stata rivolta alle strutture e alle organizzazioni, sociali e politiche, soccombenti o resilienti, ai meccanismi della loro formazione, alla loro natura e alle modalità della loro conduzione.
Le successive, sorprendenti analisi di Genealogia della morale hanno avuto una influenza cruciale nella storiografia del ’900, come, in realtà, in tutte le rotture epistemologiche delle scienze sociali e storiche del secolo scorso. L’attenzione per i grandi miti del quotidiano da parte degli storici francesi della “lunga durata”, come poi, in particolare, quella di Foucault per la genealogia delle pratiche disciplinari e di esistenza, hanno avuto nella prospettiva aperta da Nietzsche un punto di riferimento indiscutibile.
Il «grande gioco della storia», o la precorritrice idea di emergenza, che Foucault ritrova nella descrizione nietzscheana delle forze che irrompono in un determinato campo di sapere/potere – «il balzo con il quale dalle quinte saltano sul teatro, ciascuna col vigore, la giovinezza che le è propria» – insieme alle vicende e alle leggi del loro spodestamento – si pensi, ad esempio, agli excursus storici contenuti nel Crepuscolo degli idoli, che mostrano sempre processi di decadenza o di degenerazione, riguardino essi i Greci, la legge di Manu, l’impero romano o i tedeschi –, chiariscono come il pensiero “inattuale” di Nietzsche sulle scienze storiche del suo tempo sia servito per riformulare le condizioni di possibilità e di comprensione di queste stesse scienze.
Nei filosofi che leggono la storia dopo Nietzsche, così come negli stessi storici, la scienza storica assumerà, anche in Italia (Prosperi, Ginzburg), il volto di un discorso capace di intervenire fin dentro le maglie del presente: in grado cioè da un lato di riattualizzare eventi e forme di vita passate mostrandone archeologicamente aspetti insospettati e proprio per questo sconvolgenti, e dall’altro di scomporre le parti in gioco nello stesso presente, mettendo a nudo genealogicamente gli interessi e le complicità di cui il presente è costituito.
Le giornate di studio che qui si propongono intendono prendere in esame Nietzsche nei suoi rapporti con la storia, intesa in senso lato. Molte sono infatti le modalità di approccio alla storia del filosofo tedesco, al quale Jacob Burckhardt provocatoriamente domandava: «Che cosa succederebbe se Lei insegnasse storia?».
La collocazione pisana delle giornate di studio risulta inoltre estremamente adeguata, tenuto conto di come proprio il contesto intellettuale pisano sia stato, fin dagli anni ’60, il campo di esplorazione e di dibattito tra antichi e nuovi paradigmi storici e storico-filosofici (Crisi della ragione, 1979), al cui centro si colloca la riscoperta di Nietzsche da parte di Colli e Montinari e dei suoi interpreti francesi.
Dall’analisi degli scritti giovanili e dei frammenti postumi, nei quali la storia ci appare anche come un campo estraneo alla “divinizzazione della necessità” di stampo hegeliano, come il luogo di valorizzazione dello scarto, della coesistenza di concentrazione e dispersione; ai testi del periodo centrale nei quali, proprio ispirandosi a Burckhardt, Nietzsche adotta la diade Aufklärung/Revolution che – come osservava Montinari – sembra ambire ad affermarsi come sistema bipolare di orientamento storico-politico all’interno della filosofia nietzscheana, e dal quale si sviluppano coppie concettuali altrettanto determinanti (progresso e reazione, Rinascimento e Riforma, Kultur e Civilisation…), fino alle considerazioni nietzscheane sulle configurazioni attuali – in particolare l’Europa dei nazionalismi – e sulla necessità di un loro superamento.
Lo sguardo “inattuale” di Nietzsche sulla storia sembra infatti ritrovare proprio oggi una sua rilevanza. La riflessione sull’essere dell’uomo europeo, e dunque sulla stessa idea di Europa, i pensieri di Nietzsche sui “cari europei di oggi e di domani”, significano infatti la riflessione sull’essenza del tipo europeo, intesa come una fisiologia carica dei molteplici sintomi della décadence dell’anima moderna.
Prendendo a prestito – come è noto – dallo scrittore e saggista Paul Bourget l’idea di décadence come ipertrofia di un elemento sugli altri a scapito di un equilibrio dinamico e produttivo di una struttura o di una configurazione, Nietzsche auspica una palingenesi dell’Occidente che approdi a una nuova nozione di identità culturale.
Se già nell’Inattuale sulla storia Nietzsche si richiamava ai Greci che, unici nella loro grandezza, hanno saputo vivere in modo superbamente non-storico, sintetizzando in una imponente concezione del mondo spinte spirituali di origini differenti, così, di fronte alla decadenza dell’Europa del suo tempo e alla sua incapacità di rappresentare un crogiuolo di forze attive, Nietzsche ambisce a formazioni meno sclerotizzate e aperte al sincretismo. Secondo una nota formula, che spiazza per la sua congruità al tempo presente, l’essere “buoni europei” comporta «diventare gradualmente più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci – giacché la grecità fu la prima grande unificazione e sintesi di tutto il mondo orientale e appunto perciò l’inizio dell’anima europea» .
Le successive, sorprendenti analisi di Genealogia della morale hanno avuto una influenza cruciale nella storiografia del ’900, come, in realtà, in tutte le rotture epistemologiche delle scienze sociali e storiche del secolo scorso. L’attenzione per i grandi miti del quotidiano da parte degli storici francesi della “lunga durata”, come poi, in particolare, quella di Foucault per la genealogia delle pratiche disciplinari e di esistenza, hanno avuto nella prospettiva aperta da Nietzsche un punto di riferimento indiscutibile.
Il «grande gioco della storia», o la precorritrice idea di emergenza, che Foucault ritrova nella descrizione nietzscheana delle forze che irrompono in un determinato campo di sapere/potere – «il balzo con il quale dalle quinte saltano sul teatro, ciascuna col vigore, la giovinezza che le è propria» – insieme alle vicende e alle leggi del loro spodestamento – si pensi, ad esempio, agli excursus storici contenuti nel Crepuscolo degli idoli, che mostrano sempre processi di decadenza o di degenerazione, riguardino essi i Greci, la legge di Manu, l’impero romano o i tedeschi –, chiariscono come il pensiero “inattuale” di Nietzsche sulle scienze storiche del suo tempo sia servito per riformulare le condizioni di possibilità e di comprensione di queste stesse scienze.
Nei filosofi che leggono la storia dopo Nietzsche, così come negli stessi storici, la scienza storica assumerà, anche in Italia (Prosperi, Ginzburg), il volto di un discorso capace di intervenire fin dentro le maglie del presente: in grado cioè da un lato di riattualizzare eventi e forme di vita passate mostrandone archeologicamente aspetti insospettati e proprio per questo sconvolgenti, e dall’altro di scomporre le parti in gioco nello stesso presente, mettendo a nudo genealogicamente gli interessi e le complicità di cui il presente è costituito.
Le giornate di studio che qui si propongono intendono prendere in esame Nietzsche nei suoi rapporti con la storia, intesa in senso lato. Molte sono infatti le modalità di approccio alla storia del filosofo tedesco, al quale Jacob Burckhardt provocatoriamente domandava: «Che cosa succederebbe se Lei insegnasse storia?».
La collocazione pisana delle giornate di studio risulta inoltre estremamente adeguata, tenuto conto di come proprio il contesto intellettuale pisano sia stato, fin dagli anni ’60, il campo di esplorazione e di dibattito tra antichi e nuovi paradigmi storici e storico-filosofici (Crisi della ragione, 1979), al cui centro si colloca la riscoperta di Nietzsche da parte di Colli e Montinari e dei suoi interpreti francesi.
Dall’analisi degli scritti giovanili e dei frammenti postumi, nei quali la storia ci appare anche come un campo estraneo alla “divinizzazione della necessità” di stampo hegeliano, come il luogo di valorizzazione dello scarto, della coesistenza di concentrazione e dispersione; ai testi del periodo centrale nei quali, proprio ispirandosi a Burckhardt, Nietzsche adotta la diade Aufklärung/Revolution che – come osservava Montinari – sembra ambire ad affermarsi come sistema bipolare di orientamento storico-politico all’interno della filosofia nietzscheana, e dal quale si sviluppano coppie concettuali altrettanto determinanti (progresso e reazione, Rinascimento e Riforma, Kultur e Civilisation…), fino alle considerazioni nietzscheane sulle configurazioni attuali – in particolare l’Europa dei nazionalismi – e sulla necessità di un loro superamento.
Lo sguardo “inattuale” di Nietzsche sulla storia sembra infatti ritrovare proprio oggi una sua rilevanza. La riflessione sull’essere dell’uomo europeo, e dunque sulla stessa idea di Europa, i pensieri di Nietzsche sui “cari europei di oggi e di domani”, significano infatti la riflessione sull’essenza del tipo europeo, intesa come una fisiologia carica dei molteplici sintomi della décadence dell’anima moderna.
Prendendo a prestito – come è noto – dallo scrittore e saggista Paul Bourget l’idea di décadence come ipertrofia di un elemento sugli altri a scapito di un equilibrio dinamico e produttivo di una struttura o di una configurazione, Nietzsche auspica una palingenesi dell’Occidente che approdi a una nuova nozione di identità culturale.
Se già nell’Inattuale sulla storia Nietzsche si richiamava ai Greci che, unici nella loro grandezza, hanno saputo vivere in modo superbamente non-storico, sintetizzando in una imponente concezione del mondo spinte spirituali di origini differenti, così, di fronte alla decadenza dell’Europa del suo tempo e alla sua incapacità di rappresentare un crogiuolo di forze attive, Nietzsche ambisce a formazioni meno sclerotizzate e aperte al sincretismo. Secondo una nota formula, che spiazza per la sua congruità al tempo presente, l’essere “buoni europei” comporta «diventare gradualmente più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci – giacché la grecità fu la prima grande unificazione e sintesi di tutto il mondo orientale e appunto perciò l’inizio dell’anima europea» .